Il testo deve essere in formato Word, con
font: Times New Roman;
dimensione carattere: 12;
interlinea: 1,5.
L’inedito va accompagnato da una scheda contenente le seguenti informazioni:
– nome e indirizzo (con tutti i contatti telefono/fax/e-mail) dell’autore;
– titolo dell’opera;
sistema operativo del computer su cui è stato preparato il documento (Microsoft Windows, MacOs o altro)
– programma e versione utilizzati (per es.: Microsoft Word 2010)
– elenco dettagliato dei documenti consegnati;
numero complessivo delle pagine e numero totale dei caratteri;
– elenco dei disegni, tabelle, immagini.
Inoltre, il testo deve rispettare le normali regole ortografico-grammaticali, in particolare:
I nomi dei mesi si scrivono con l’iniziale minuscola.
In italiano i numeri romani sono convenzionalmente considerati ordinali, cioè I, II, III significano ˈprimoˈ, ˈsecondoˈ, ˈterzo ˈ, e non ˈunoˈ, ˈdueˈ, ˈtreˈ. Non richiedono, quindi, alcun segno in esponente (®, ^ o simili, che risulterebbe solo ridondante).
I puntini di sospensione sono sempre e solo tre, non di più, e sono seguiti da uno spazio.
La e accentata finale deve avere:
l’accento acuto (inclinato a destra) se è chiusa: perché, sé, affinché
l’accento grave (inclinato a sinistra) se è aperta: caffè, è, lacchè.
Quando una vocale è accentata, si deve usare il relativo carattere accentato: à, è, ì, ò, ù. È scorretto usare il carattere non accentato seguito dall’apostrofo. Scrivete cioè, però e non cioe’pero’. L’apostrofo dopo una vocale si usa solo nell’espressione un po’ e in pochi altri casi. Per scrivere la accentata maiuscola (È) utilizzate l’opzione Tutto maiuscole, evidenziando la lettera.
Le parole straniere usate in italiano mantengono la forma del singolare anche per il plurale. Quindi: gli smartphone e non gli smartphones. E vanno scritte in corsivo solo se non diffuse in italiano
Non deve essere presente nel testo nessuna sottolineatura, nessun uso del neretto.
Disegni, tabelle e immagini andranno inviati separati dal testo in file separati. L’impaginazione verrà eseguita a nostra cura in seguito, in accordo con il progetto grafico. In caso di saggi, si prega di prestare particolare attenzione all’apparato bibliografico. In presenza di note e citazioni, scegliere un solo criterio per la struttura della citazione bibliografica, e seguirlo coerentemente in tutto il documento. Esistono svariati criteri, generalmente legati alla disciplina di riferimento, ma tutti hanno ampie basi comuni e richiedono di citare le stesse informazioni, necessarie a identificare univocamente i testi utilizzati.
Queste sono, nell’ordine:
Monografie
Autore (con nome puntato), Titolo dell’opera (in corsivo), Editore, Luogo di edizione, Anno, Numero/i di pagina/e da cui si trae la citazione. Es: I. Calvino, Italo, 
Le città invisibili, Torino, Einaudi 1972, pp. 62-65. Nel caso di Traduzioni indicare il nome del traduttore. Es: R. King, Il mistero delle ninfee, tr. it. di C. Galli, Rizzoli, Milano 2016.
Articoli
Autore, “Titolo dell’articolo”, Titolo della rivista, Volume, numero del fascicolo, Mese e anno, pagine in cui compare l’articolo.
Capitoli, atti di congresso, raccolte
Autore, “Titolo del capitolo o saggio” in Curatore, Titolo dell’opera, Numero del volume se presente, Luogo, Editore, data, pagine dello scritto. Per la bibliografia finale, poiché si utilizza l’ordine alfabetico, il nome dell’autore va sempre citato a partire dal cognome, seguito dalle iniziali puntate o dal nome esteso; in alcuni casi si utilizza il tutto maiuscolo o il maiuscoletto. Il titolo dell’opera, con eventuale sottotitolo, va sempre in corsivo. Due sono gli stili più diffusi per la citazione: il primo, noto come ChicagoA, in nota a piè di pagina con la citazione estesa (come sopra da esempio), è generalmente più utilizzato in ambito umanistico. Dopo la prima citazione, è possibile utilizzare una forma abbreviata (vedi più avanti); il secondo, ChicagoB, in corpo testo dopo la citazione nella seguente forma: (Calvino, 1972) e corredata da citazione estesa nella bibliografia finale, è afferente agli ambiti scientifici. Qualsiasi stile si decida di utilizzare, si avrà cura di stilare la lista comprensiva dei riferimenti utilizzati, o bibliografia finale, utilizzando la forma sopra indicata per la citazione estesa.
 
Abbreviazioni più comuni
Et Al.: In luogo di et alii, “e altri”, si utilizza quando gli autori sono più d’uno. La dicitura AA.VV. (autori vari) è ormai in disuso. In caso di raccolte, si usa di norma il nome del curatore.
Ibidem: Usata se la nota precedente si riferisce allo stesso identico luogo nella stessa opera.
Id.: Idem, stesso autore citato in precedenza.
Ivi: Usata se la nota immediatamente precedente si riferisce alla stessa opera, ma a un numero di pagine differente. Di seguito va indicato il nuovo numero di pagina.
Op. cit.: Opera citata; per stessa opera già citata in precedenza.
___________
«Prendi questa mano, zingara.»
«La prendi questa mano, zingara?»
«Prendi questa mano, zingara» disse Michele.
«Prendi questa mano, zingara!» disse Michele.
Michele disse: «Prendi questa mano, zingara».
 
(Il punto finale segnala la chiusura dell’intera frase.)
 
Michele chiese: «Prendi questo o l’altro treno?».
Lei: «Una sacca impagliata è più comoda…».
«Prendi questo o l’altro treno?» chiese Michele, alzandosi in piedi.
«Prendi questa mano» disse Michele, «e ti darò tutto l’oro del mondo!».
«Prendi questa mano» disse Michele, che fece un sospiro, poi aggiunse: «E ti darò tutto l’oro del mondo!».
 
(Il punto finale segnala la chiusura dell’intera frase.)
 
«Prendi questa mano» disse Michele, guardandosi attorno. «Ti darò tutto l’oro del mondo!» aggiunse. Infine: «Non dimenticarmi». E alzò gli occhi al cielo.
«Prendi questa mano» disse, «e ti darò tutto l’oro del mondo!».
«Siamo qui…» bisbigliò. «Intanto, siamo qui».
«Certo che sembrano proprio degli sfollati…» aggiunse. «Meglio che vada, ora, prima che altri comincino a farsi domande…».
 
(Il punto finale chiude il discorso, anche se la frase finisce coi punti di sospensione, con un interrogativo o con un esclamativo.)
 
«Sì, giusto, c’era il portiere!» Una pausa e concluse: «Se fosse entrato qualcuno, se il bambino avesse fatto per allontanarsi, il Cavallari se ne sarebbe per forza dovuto accorgere!» «D’accordo».
«…Tino» sussurrò Nice dalla porta socchiusa.
«SALGA IMMEDIATAMENTE!» abbaiò paonazzo il brigadiere, con la voce soffocata in gola; sputacchiava come un bambino.
Voi starete qui” gli avevano detto, indicando una stanzetta lunga e stretta.
È una persona onesta, un gran lavoratore” – gli avevano detto – “si è occupato da solo dell’impianto elettrico, di quello idraulico e anche delle opere di muratura”.
Io starò qui?” pensò tra sé e sé, mentre oltrepassava la soglia di casa.
[oppure] Io starò qui? – pensò tra sé e sé, mentre oltrepassava la soglia di casa.
[oppure] Sono stato davvero fortunato, ripeteva a sé stesso, guardandosi attorno come trasognato.
Troppo lontano, pensò, e, rivolgendosi a sua moglie: «Ma che dici!».
[oppure] Troppo lontano, pensò.
Perché non mi guardi, Nice? pensò. Guardami solo un istante!
[oppure] Perché non mi guardi, Nice? – pensò. Guardami un istante.
[oppure] Perché non mi guardi, Nice? pensò. Guardami un istante.
Tino sentiva mancargli il vigore di un tempo: Sono gli anni che passano, diceva sorridendo.
[oppure] Tino sentiva mancargli il vigore di un tempo: “Sono gli anni che passano” diceva sorridendo.
[oppure] Tino sentiva mancargli il vigore di un tempo. Sono gli anni che passano – diceva sorridendo.
Fece un profondo respiro e, sfilando una Gauloises blondes dal pacchetto sul tavolino, aggiunse: «Poi ero di fretta, ho pensato: Mia moglie è a casa, non c’è nulla di cui preoccuparsi; e poi, poi c’è sempre… il portiere!» disse con slancio improvviso; ed estraendo la destra e puntando l’indice in aria: «Sì, giusto, c’era il portiere!». Una pausa e concluse: «Se fosse entrato qualcuno, se il bambino avesse fatto per allontanarsi, il Cavallari se ne sarebbe per forza dovuto accorgere!». «D’accordo.» «A presto».
 
(Quando la frase di dialogo è introdotta dai due punti, ci vuole sempre il punto finale esterno alle virgolette. Si noti inoltre il punto finale che chiude tutto il discorso.)
 
I condomini si abituarono a rivolgersi a lui con garbo: “Signor Cavallari, buona giornata”. E lui rispondeva con sorrisi. Magari un giorno lo avrebbero chiamato per nome: “Signor Tino” o anche, semplicemente, “Tino”. A lui sarebbe piaciuto.
 
(Il punto dopo la chiusura delle prime virgolette è necessario perché la frase è introdotta dai due punti, ma se finisce con un interrogativo o con un esclamativo o coi tre puntini, lo si eviterà, poiché il discorso continua senza andare a capo.)
 
Aveva un banco da ambulante e un furgoncino Fiat, si credeva un gran signore, “non come mio cugino, il buono a niente!” soleva dire. Anche Anna – la consorte del signore! – era sempre fredda e distaccata.
Raggiunse il quinto piano dove, all’interno dieci, suonò il campanello che indicava “Rag. Michele Melega e Sig.ra Laura Dinelli”.
In risposta ricevette un rassicurante “Provvedo subito”.
La scrittura plurale predilige espressioni, esposizioni e costrutti solari, pieni di dettagli eppure rievocativi e immaginativi. La narrazione è fluida, pregnante, significativa.
Il linguaggio non fa uso di vocaboli con il prefisso in “uni” e “mono”, se non in negativo.
Nella valutazione degli inediti, la Pluriversum segue le seguenti indicazioni:
La poesia non è soggetta ad alcuna restrizione di natura linguistica.
Nella narrativa si consiglia l’adeguamento.
Nella saggistica di tipo umanistico (Scienze umane e Filosofia) è invece un obbligo.
Testatina: chiamata anche “titolo corrente”, è quella breve linea di testo che qualche volta troviamo in cima a una pagina di un libro. In genere, la testatina di sinistra riporta autore e titolo del testo, quella di destra riporta il capitolo; ma può anche accadere che a sinistra compaia il capitolo e a destra il paragrafo, oppure che entrambe le testatine contengano il solo titolo generale, a seconda delle scelte dell’editore. In ogni caso le testatine sono uno di quegli elementi che il correttore deve controllare minuziosamente, ripercorrendole una per una e confrontandole con il titolo corrispondente e con l’indice.
Dida: sta per “didascalia”. Controllare le dida significa verificare che ci siano tutte, che siano numerate nella giusta sequenza, che siano pertinenti con l’immagine (o il grafico, o la tabella…), che il font e il corpo siano uniformi.
Vedova, orfana, righino: quando si fa scorrere il testo da una pagina all’altra o da una colonna all’altra, solitamente è considerato antiestetico vedere una sola riga dello stesso paragrafo all’inizio o alla fine di una colonna o di una pagina separata dalle altre. L’impaginatore e lo stesso correttore di bozze visionano, tra le altre cose, la disposizione del testo. In generale si cerca con ogni mezzo (ossia tagli, piccole aggiunte o l’uso di espedienti concessi dai programmi di impaginazione, come il track) di evitare che la pagina cominci con la riga terminale di un paragrafo iniziato nella pagina precedente (questa è la vedova) e finisca con la riga iniziale di un paragrafo che si protrae nella pagina successiva (questa è l’orfana) oppure presenti, alla fine di un paragrafo, una riga costituita da una parola incompleta o da una parola molto breve (e questo è il righino).
Zoppa: si tratta di una pagina piena quasi per intero, alla quale mancano uno o due righi per completare l’ingombro (vedi). È da evitare, così come il suo contrario, una pagina che consta solo di poche righe, per esempio alla fine di un capitolo (in genere, la tolleranza minima è di cinque righe).
Gabbia: è l’insieme di linee e “scatole” virtuali in cui l’impaginatore stabilisce che saranno contenuti testi e immagini. In un libro standard, i margini estremi della gabbia sono in alto le testatine, in basso le eventuali note a piè di pagina, a destra e a sinistra la giustezza (vedi) del testo. Se vi dicono che vi hanno lasciato “un box di scarico fuori gabbia” significa che hanno collocato il testo in esubero che voi dovrete tagliare in una “scatola” che si trova al di fuori di questi margini, nel file di impaginazione. Inutile tentare di spiegare all’impaginatore che così facendo non avrete speranza di stampare anche il box di scarico, visto che è fisicamente fuori dal foglio. Spostatevi i box in una posizione comoda, o copiatevi il testo in un altro documento, insomma inventate qualche trucco ma non tentate la via della persuasione molesta.
Refuso: nel linguaggio comune è l’”errore di stampa”: una parola scritta con una doppia sola, messa al posto di un’altra simile. Si differenzia dall’errore ortografico, perché il refuso è un errore di battitura mentre l’errore ortografico è il frutto di una svista o dell’ignoranza.
Vive: se dopo aver segnalato una correzione (per esempio avete eliminato un sostantivo) vi siete pentiti, non armatevi di bianchetto: disegnate un circolo intorno alla correzione lungo il margine della pagina e appuntate accanto “VIVE”. Significa che quella correzione non va inserita, è come se non esistesse.
Simboli o segni: correggere una bozza non è come rivedere la propria tesi di laurea o il proprio romanzo nel cassetto. Le correzioni dovranno risultare chiare e inequivocabili per chiunque prenda in mano la bozza, senza che debba chiamarvi ogni minuto per chiedervi chiarimenti. Per questo da molto tempo sono in uso degli appositi simboli per la correzione di bozze: piccoli elementi grafici che apporrete all’interno della parola su cui intervenire, riporterete al margine della pagina e completerete con la vostra correzione. Ma non ce ne occupiamo, qui.
Visto si stampi: l’ultimo redattore a controllare la cianografica appone il cosiddetto “visto si stampi”, una firma o una sigla o un timbro che decreta che il testo è perfettamente pulito e può andare in stampa. È un momento di grande tormento interiore, perché ci si assume ufficialmente la responsabilità personale del proprio lavoro e di quello altrui. La buona notizia è che, se dopo la stampa salta fuori un brutto errore che vi è sfuggito e il visto si stampi l’ha messo un altro, se la prenderanno prima con lui. Crudeltà a parte, è chiaro che nessun testo sarà mai completamente privo di refusi o imperfezioni: il dovere del correttore è tendere alla massima perfezione possibile e sperare che le magagne rimaste siano pochissime e irrilevanti ai fini della fruizione del prodotto editoriale. A ogni modo, l’editore riserva all’autore questa terribile scelta. L’autore è chiamato a rileggere tutto, con grande attenzione; nel caso desse il via libera… e dopo la pubblicazione del libro si rinvenissero dei refusi… ecco che l’editore potrebbe perlomeno prendersela pure con l’autore. Non si tratta, ovviamente, di una responsabilità pensale da parte dell’autore, o di un peccato veniale, ma è bene che si presti la massima attenzione in fase di ultimissima lettura prima della stampa. In fondo, il libro porta impresso il nome dell’autore!
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